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Immagine del redattoreSara Melito

“Una notte al Museo”

Aggiornamento: 14 gen

(novembre 2015)

Metti un sabato sera di inizio autunno. Metti il silenzio di un antico chiostro, il suo portico contornato da una selva di colonne che abbracciano il giardino e il pozzo centenario. Metti una collezione di manufatti risalenti a epoche diverse, ognuno con il suo stile, ognuno con una storia da raccontare.

Perché se è vero che la Bellezza salverà il Mondo, allora un Museo è il luogo ideale dove si sprigiona questa forza, dove la storia prende forma e si risveglia, esce dalle pagine dei libri e si svela attraverso i colori degli affreschi, le forme grottesche delle statue, il simbolismo delle lapidi, le sinuose geometrie dei vasi.

Ma non è una storia lontana e distaccata, è la memoria del nostro territorio, di una Novara che si è formata attraverso le epoche; nata da un embrione antico, ha saputo sopravvivere al tempo, forgiarsi lungo i secoli, e restituirci, oggi, i segni di un cammino parallelo ai grandi fatti del passato.

I Musei della Canonica e del Duomo raccolgono una collezione degna di nota e il nuovo allestimento, concepito come un viaggio attraverso le epoche, ci aiuta a conoscere il passato per capire il presente.

Visitare un museo di notte è un’esperienza suggestiva. Ricordate il fortunato film in cui, proprio di notte, in un museo i personaggi prendevano vita? Non è pura finzione cinematografica. La sensazione che deriva mentre si percorrono i corridoi e le sale è quella di trovarsi in mezzo agli eventi, non di esserne meri spettatori.



Ospitati all’interno del Palazzo dei Canonici di Santa Maria, i Musei raccolgono una collezione di statue in terracotta a grandezza reale che inizialmente adornavano le absidi del Battistero Romanico. Le scene rappresentano le tappe della Passione di Cristo e colpiscono per la raffinatezza dei dettagli espressivi: estasi ieratica nei volti di Cristo e della Madonna, smorfie grottesche sui visi dei milites. Lo scopo, in un momento in cui le arti figurative erano elevate a ruolo pedagogico in una società quasi totalmente analfabeta, era quello di rappresentare il Bene come Bello e confinare il Male nella bruttezza fisica e nella deformità.

La sala successiva conserva un bellissimo affresco che narra la vicenda biblica di Giuditta ed Oloferne. Anche qui non mancano i dettagli: la testa mozzata del generale assiro occupa la parte centrale della scena e tutti i personaggi ruotano attorno al significato metaforico di questa immagine violenta e spettrale. Il destino si è compiuto, gli eserciti sciolgono l’assedio, la Virtù ha vinto il Vizio.

La teca posta al centro della sala custodisce un piccolo tesoro, un primato che catapulta Novara tra quelle realtà museali che possono vantare un oggetto di tale pregio e importanza. Si tratta di un dittico eburneo risalente al V secolo. Sono due tavolette, o valve, in avorio che riportano sul fronte la miniatura del committente, l’aristocratico Patricius, sul retro l’elenco, redatto in caratteri onciali, dei vescovi della città, a cominciare proprio da Gaudenzio.

Le sale del primo piano raccolgono oggetti e paramenti sacri. Sono il Tesoro della Cattedrale. Pregevolissima una Croce cerimoniale in legno finemente intagliato, un manufatto unico, dal gusto ricercato, come anche l’ostensorio in filigrana d’argento o la planetaria color porpora in ricamo d’oro utilizzata nel ‘600 durante le celebrazioni dell’Avvento.

Il percorso museale a questo punto compie un salto indietro nel tempo e ci riporta ai primi anni della cristianità, a quel periodo confuso in cui gli ultimi aneliti di un Impero Romano ormai decapitato lasciavano il posto alla timida società medievale che stava nascendo. L’umanità di allora attraversava un cambiamento epocale: l’editto di Costantino nel 313 aveva ufficializzato il Cristianesimo elevandolo a religione di Stato. I seguaci di Cristo potevano finalmente praticare il culto alla luce del sole e le lapidi sepolcrali testimoniano questa conquistata libertà. Se ancora le incisioni sono concepite ad uso romano, con brevi testi che descrivono le qualità del defunto, il simbolismo scolpito è squisitamente cristiano: croci, animali biblici e metafore della fede.

Sono manufatti che risalgono al II – IV secolo dopo Cristo e ci raccontano di uomini e donne che sono vissuti e sono morti a Novara, o Novaria come allora si chiamava la nostra città. Scopriamo i loro nomi, le loro gesta, le loro preoccupazioni quotidiane e la volontà di assicurarsi una vita dopo la morte. E’ il caso della stele funeraria di Appia Flaventia, una donna patrizia che ha voluto per se e per la sua famiglia, la costruzione di una tomba collettiva, una sorta di condominio funerario.

Due sono però i reperti che merito un’attenzione maggiore. Il primo è una grossa stele proveniente dalla Badia di Dulzago di derivazione celtica. Il secondo è il bassorilievo della nave, un manufatto che si discosta completamente per stile e materiale da tutti gli altri contenuti in questa sala. E’ in marmo bianco, finemente scolpito e rappresenta una nave che solca le onde di un mare in tempesta. Il significato metaforico, ad oggi, è ancora oscuro ma potrebbe riferirsi alle persecuzioni contro i cristiani delle origini.



La sala conserva però testimonianze anche dell’epoca in cui Novara era un castrum romano. Are e steli latine, urne funerarie, monete di epoca imperiale e magnifici vasi di fattura greca ed ellenistica. Qui Roma aveva esteso la sua influenza, qui c’era prima un accampamento militare, poi una città di provincia che aveva anche le sue terme come testimonia una lapide della collezione.

Nel Museo non può mancare una sezione di antichi volumi ed incunabuli finemente miniati, un’esplosione di colori si accende sulla pergamene, una grafia a volte minuta come nell’epistola del 1200, altre volte importante come nella Bibbia in volgare. Testi preziosi, ricchi di dettagli stilistici, metafore, codici e curiosità.

Le luci si spengono, il passato torna all’interno delle teche, le figure nei dipinti, le statue tacciono, non più voci si sentono sussurrare cosa è accaduto. La notte è il momento dei ricordi, della memoria, anche di quella più lontana. E allora tutta questa bellezza può davvero salvare il mondo.

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